Il caldo e la pazienza

Che a luglio faccia caldo non è certamente una notizia – nonostante ne faccia qualitativamente e quantitativamente molto di più di quanto vorremmo, visto che siamo finalmente arrivati alla fase storica in cui rispetto al cambiamento climatico non funziona più neanche il negazionismo più ottuso.

Anche il fatto che io di pazienza ne abbia poca, per chi mi conosce, è un po’ un’ovvietà – anche se con il passare del tempo, a differenza del pianeta che si riscalda, io sia pur moderatamente mi raffreddo un po’.

Ad ogni modo, le temperature tropicali di quest’estate, trascorsa quasi interamente in Italia, mi portano a notare più i difetti che i pregi del nostro paese. Forse perché me ne fanno notare le somiglianze col Brasile in cui ho vissuto per undici anni.

Qualche giorno fa, al ritorno da un campetto estivo, mio figlio mi ha raccontato di aver giocato a calcio, ma vedi papà, il calcio qui in Italia è molto diverso dal soccer a New York. Ah sì, chiedo, e perché? Spiega lui, con la lucidità fattuale dei suoi sei anni, che a New York il gioco consiste nel prendere a calci una palla e cercare di farla entrare in una porta; qui invece si danno calci alla palla per qualche minuto, poi ci si ferma a litigare per un quarto d’ora abbondante: palla mia, no, palla nostra, ma era fallo, no, era fuorigioco, stai zitto tu che sei interista, e tu sei juventino, juve schifo milan non ti dico, allora cambiamo le squadre, però ora noi abbiamo il sole in faccia, era rigore, non era rigore ti sei buttato, e così via.

In compenso sua sorella maggiore mi ha raccontato che una delle altre bambine del campo estivo, saputo che abitiamo a New York – fatto assolutamente esotico rispetto alla sua normalità palermitana – ha espresso ripetutamente una sua curiosità sull’unico aspetto che sembra interessarle veramente: “ah ma è vero che non vi fate il bidè?”. Ora, una persona molto migliore di me avrebbe respirato a fondo e colto l’occasione per una conversazione seria e profonda sui pregiudizi, sulla mentalità provinciale, e sull’abilità che sia lei che suo fratello dovranno avere nella vita per riuscire a interagire, con infinita pazienza, con gente come quella bambina per aiutarla a vedere il mondo da un altro angolo. Ma siccome non sono quella persona, la conversazione seria e profonda l’ho avuta sì, ma solo dopo averle detto in prima battuta che magari può suggerire alla bambina in questione di andarci pure lei, a fare un bel bidè, bello ghiacciato, ché sembra averne un gran bisogno per rinfrescarsi un po’ le idee.

Con una certa tristezza, mi viene in mente che finché utilizziamo i tre quarti del nostro tempo di gioco per litigare, e finché guardiamo al diverso come ad uno che per definizione non sa gestire neanche la propria igiene intima, le nostre prospettive nelle dinamiche culturali, sociali e politiche mondiali saranno inevitabilmente molto limitate.


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